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Pediatrica

ODONTOIATRIA PEDIATRICA E ORTODONZIA –
L’odontoiatria pediatrica è la branca dell’odontostomatologia che si occupa della prevenzione e
della terapia delle patologie del cavo orale negli individui in età evolutiva.
In particolare:
• prevenzione primaria in relazione alla valutazione del rischio di patologia cariosa (sec. il CAT:
basso, moderato, elevato);
• terapia della early childhood caries o baby bottle syndrome o carie da biberon o carie della prima
infanzia (E.C.C.), ovvero delle lesioni cariose multiple e destruenti ad insorgenza molto precoce, ad
andamento rapidamente evolutivo, causate da trasmissione verticale dello Streptococcus mutans e
da assunzione frequente e prolungata di zuccheri;
• terapia conservativa degli elementi decidui e permanenti immaturi, sede di patologia cariosa o di
lesioni;
• diagnosi precoce e terapia delle erosioni dei denti decidui e permanenti in funzione della
presenza/assenza di patologia sistemica associata (es. reflusso gastroesofageo, disturbi del
comportamento alimentare, malassorbimenti, etc…), che necessitano di approccio interdisciplinare;
• terapia della polpa degli elementi decidui e permanenti ad apice immaturo, sede di patologia
cariosa o di lesioni traumatiche dei tessuti mineralizzati di origine traumatica;
• diagnosi precoce e terapia delle patologie dei tessuti molli e delle mucose orali;
• diagnosi precoce e terapia delle abitudini viziate (respirazione orale, succhiamento protratto,
deglutizione infantile) in un’ottica di interdisciplinarietà;
• piccola chirurgia (estrazione di elementi affetti da patologia cariosa o da lesioni di origine
traumatica non recuperabili, fenulectomie, estrazione di denti soprannumerari);
• riabilitazione protesica in caso di oligo/anodonzia.
Nell’ambito della visita specialistica pediatrica è sempre doveroso un attento esame obiettivo del
cavo orale, per valutare lo stato di salute dentale e delle mucose orali del bambino. Tale esame
diventa spesso difficile ed indaginoso in età pediatrica, per problematiche correlate principalmente
ai cambiamenti evolutivi del distretto orale del bambino durante la normale crescita; basti pensare
alla permuta dentaria dai 6 ai 14 anni, allo sviluppo psicofisico in atto, alla difficoltà del bambino a
descrivere e localizzare un’eventuale sintomatologia algica oltre ad inquadrarla temporalmente,
nonché all’immaturità immunologica dell’infanzia.
Le problematiche odontostomatologiche in età infantile vanno conosciute, individuate
precocemente e gestite con protocolli multidisciplinari, atti ad inserire il bambino in un programma
mirato di prevenzione, diagnosi e cura sia di alterazioni dei tessuti duri sia dei tessuti molli orali,
con l’obiettivo di soddisfare, secondo i più moderni indirizzi ed in linea con le sollecitazioni poste
dalla società, le nuove e diverse esigenze di raggiungere e mantenere la salute orale del bambino.
E’, pertanto, importante la stretta collaborazione tra pediatra, odontoiatra, ortodontista e igienista
dentale in modo da uniformare gli interventi collettivi, semicollettivi e individuali. Diventa, quindi,
indispensabile che l’odontoiatra sia aggiornato a riconoscere ed affrontare le patologie orali più
frequenti e soprattutto in grado di consigliare e indirizzare, laddove possibile, efficaci interventi di
prevenzione diventando così figura privilegiata nell’informazione e nel rapporto genitori –
bambino.
Prima visita e approccio comportamentale
Prima di affrontare qualsiasi intervento operativo, l’odontoiatra che si occupa dell’assistenza dei
pazienti in età evolutiva deve necessariamente mettersi in sintonia con la personalità del piccolo
paziente, i suoi problemi e le sue paure, giungendo così ad ottenere la sua attenzione, la sua fiducia
e quella dei genitori.
Per cercare di controllare l’ansia del paziente, sarebbe bene rendere confortevole ed a misura di
bambino la sala d’attesa.
L’odontoiatra con il paziente in età evolutiva deve comunicare in funzione delle caratteristiche
individuali, in particolare del grado di maturazione del piccolo paziente, utilizzando strategie
psicocomportamentali individualizzate per favorire la piena collaborazione durante la seduta
odontoiatrica.
Si devono mettere in atto percorsi per consentire ai genitori ed all’operatore di costruire l’alleanza
terapeutica, necessaria per il conseguimento di obiettivi comuni, atti non solo a risolvere la
patologia in fase acuta, ma ad impostare un corretto piano di trattamento, pianificando nel tempo le
diverse operatività necessarie al suo completamento e il conseguente follow-up, con il monitoraggio
delle abitudini a stili di salute orale domiciliare.
• E’ consigliabile che la prima visita odontoiatrica venga fatta a completamento della
dentizione decidua (3-4 anni di età) indipendentemente dalla presenza o meno di
problematiche dentali.
• Durante la prima visita il bambino ha l’opportunità di prendere confidenza sia con
l’ambiente operativo sia con il personale odontoiatrico.
• E’ indispensabile un’adeguata istruzione e preparazione all’accoglienza psicologica
del bambino.
• E’ consigliabile che l’ambiente operativo sia “a misura di bambino”, non ansiogeno e
tranquillizzante.
Durante la prima visita l’odontoiatra deve valutare lo stato di salute della bocca, dei tessuti duri, dei
tessuti molli (gengive e mucose orali) e dell’articolazione temporo-mandibolare (ATM); controllare
che la formula dentaria sia corretta e compatibile con l’età del paziente e che i denti presenti siano
sani e in corretta occlusione. Va, inoltre, controllata la presenza di abitudini viziate (il persistere
nell’uso del ciuccio e il succhiamento del dito) che possono alterare lo sviluppo armonico dei
mascellari.
Durante la prima visita vengono spiegati al piccolo paziente ed ai genitori i principi fondamentali
della prevenzione primaria e le eventuali varie fasi del piano di trattamento.
E’ necessario, inoltre, in fase di prima visita, ottenere il consenso informato, con atto scritto, dai
genitori o dai tutori dopo chiara ed esaustiva presentazione del piano di trattamento necessario, di
eventuali piani di trattamento alternativi, dei rischi che implica la non attuazione del trattamento
stesso, delle possibili complicanze immediate e a distanza che il piano di trattamento comporta,
evidenziando, inoltre, la necessità di adottare stili di salute orale domiciliare per il mantenimento
dei risultati ottenuti dopo la cura.
Bibliografia
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Prevenzione della patologia cariosa degli elementi dentari decidui e permanenti
La patologia cariosa è una malattia infettiva a carattere cronico-degenerativo, trasmissibile, ad
eziologia multifattoriale, che interessa i tessuti duri dentali determinandone la distruzione.
Rappresenta ancora oggi una delle patologie più diffuse nella popolazione generale e in età
pediatrica.
Negli ultimi decenni, i paesi industrializzati hanno registrato una riduzione della prevalenza della
patologia, anche se recenti indagini epidemiologiche a carattere nazionale hanno evidenziato che la
carie è ancora particolarmente presente nei bambini italiani: è emersa, infatti, una prevalenza di
circa il 22% di patologia a 4 anni e di circa il 44% a 12 anni.
In Italia, la quasi totale assenza sul territorio di servizi odontoiatrici di comunità rende ancora più
difficile l’attuazione di programmi di prevenzione puntuali ed efficaci.
Secondo il diagramma proposto da Keyes nel 1962 e, ancora oggi valido, sono necessari tre fattori
di rischio fondamentali perché si realizzi la carie: flora batterica cariogena, una dieta ricca di
carboidrati fermentabili e ridotte difese dell’ospite.
Le condizioni socio-economiche ed ambientali giocano un ruolo importante nello sviluppo della
patologia cariosa, influenzando anche le abitudini correlate alla salute orale, quali l’igiene orale
personale e l’igiene alimentare.
• L’elevata prevalenza della patologia cariosa nella popolazione infantile italiana ci
porta a considerare l’intera popolazione come potenzialmente a rischio di carie e,
pertanto, bisognosa di interventi preventivi di tipo estensivo .
Fluoroprofilassi
La costante presenza di adeguate concentrazioni di fluoro nel cavo orale riduce
significativamente il rischio di carie.
Il fluoro agisce:
1. rinforzando la struttura cristallina dello smalto con la formazione di fluoro apatite;
2. favorendo la remineralizzazione dello smalto demineralizzato;
3. svolgendo un effetto antimicrobico, soprattutto su Streptococcus mutans, sì da diminuirne
la capacità di adesione ai tessuti orali ed i tempi di moltiplicazione.
La fluoroprofilassi, intesa come prevenzione della carie attraverso l’utilizzo del fluoro,
rappresenta la pietra miliare della prevenzione della carie ed è necessaria in tutti gli
individui. Può essere effettuata per via sistemica e per via topica e, pertanto, negli anni sono
stati sviluppati diversi mezzi di somministrazione del fluoro, ognuno dei quali con diverse
concentrazioni, frequenze di uso e posologie (acqua fluorata, latte, sale, compresse, gocce,
dentifrici, gel, vernici, ecc).
La somministrazione del fluoro, attualmente, non è raccomandabile in gravidanza in quanto
non trova adeguato supporto dalle evidenze scientifiche disponibili, mentre relativamente
alla metodica di somministrazione ed alla posologia è buona norma far riferimento al
documento “Linee guida nazionali per la promozione della salute orale e la prevenzione
delle patologie orali in età evolutiva”
(http://www.salute.gov.it/sorrisoSalute/…/Linee_guida_approvate_10_ott_2008.pdf) e
successive revisioni(http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2073_allegato.pdf).
In definitiva, sarà compito dell’odontoiatra prescrivere, valutando caso per caso, il mezzo di
somministrazione più idoneo così come la concentrazione di fluoro da utilizzare, il tutto
dopo attenta considerazione del rischio microbiologico effettuato con le tecniche adeguate.
Sigillatura dei solchi e fossette
La sigillatura dei solchi e delle fossette della superficie occlusale degli elementi dentari è
una metodica di prevenzione della carie conosciuta ed applicata in tutto il mondo ormai da
molti decenni.
La metodica consiste nella chiusura meccanica delle irregolarità dello smalto dentario
presenti principalmente sulla porzione masticante dei molari, dei premolari e, in alcuni casi,
sulla superficie palatale dei denti anteriori; il tutto per impedire la colonizzazione batterica
dei solchi e delle fessure.
Nei bambini e ragazzi di età compresa fra 5 e 17 anni, più dell’80% delle lesioni cariose si
manifesta nelle irregolarità dello smalto situate sulla superficie masticante; il 74% dei solchi
dei molari permanenti trattati con questa metodica preventiva si mantiene sano a distanza di
circa 15 anni.
• La sigillatura è particolarmente indicata per i primi molari permanenti. Questi
elementi dentari, infatti, occupano una posizione piuttosto arretrata nel cavo orale dei
soggetti di 6-7 anni e, quindi, non sono facilmente raggiungibili dalle setole dello
spazzolino.
• L’efficacia delle sigillature nel prevenire la carie è massima se queste vengono
applicate subito dopo l’eruzione del dente definitivo (nel caso dei primi molari
permanenti il momento ideale per la sigillatura è tra il sesto e il settimo anno), per la
maggior suscettibilità alla malattia del dente appena erotto, suscettibilità questa che
persiste per i primi due anni circa. La sigillatura permane sul dente per alcuni anni e non
necessita di rimozione, ma si consuma nel tempo. Qualora venisse persa prima dei due anni,
va ripristinata.
• L’esecuzione di ameloplastica, prima della sigillatura, può migliorare la ritenzione del
sigillante, senza tuttavia migliorare l’efficacia della procedura preventiva.
• L’applicazione di fluoro eseguita prima della sigillatura non sembra influenzare
negativamente la forza d’adesione.
• L’isolamento del campo operatorio risulta avere un ruolo chiave per il successo
clinico della sigillatura; la contaminazione della saliva determina una riduzione della
forza di adesione del sigillante allo smalto.
• Durante le fasi operative é essenziale seguire scrupolosamente le indicazioni stabilite
dalle singole aziende produttrici del sigillante utilizzato.
• Una corretta diagnosi permette di evidenziare possibili controindicazioni alle
sigillature: solchi pigmentati per i quali la terapia prevede la sigillatura associata ad
ameloplastica e lesioni cariose minimali per le quali sono indicati restauri
minimamente invasivi.
Prevenzione dell’early childhood caries (ECC)
L’E.C.C. (early childhood caries o baby bottle syndrome o carie da biberon o carie della
prima infanzia) è una manifestazione particolarmente severa e rapidamente destruente della
patologia cariosa.
La causa principale della carie rapidamente destruente va ricercata nell’uso prolungato del
biberon contenente sostanze zuccherate o latte anche non addizionato con zucchero assunti,
principalmente, nelle ore notturne quando il flusso salivare è fortemente ridotto.
Il quadro clinico può presentarsi con forme iniziali di demineralizzazione dello smalto, fino
alla completa amputazione degli elementi decidui. La localizzazione clinica riguarda più
spesso la superficie vestibolare dei denti del settore anteriore della dentatura decidua e
diffonde rapidamente al resto della dentizione. In letteratura sono riportati valori di
prevalenza variabili dall’1% al 12% nei paesi industrializzati e valori superiori al 70% nelle
nazioni in via di sviluppo e nelle fasce deboli della popolazione, anche in paesi ad elevato
reddito.
Le principali manifestazioni cliniche della carie rapidamente destruente sono il dolore, la
presenza di ascessi e fistole, cui si associa una frequente compromissione dello stato di
salute generale con possibile conseguente malnutrizione. Le complicanze che l’E.C.C. può
determinare sono di natura infettiva sistemica, come la malattia focale, e, localmente, la
possibilità di sviluppo di cisti follicolari o radicolari ed ipoplasia degli elementi permanenti;
complicanze ortognatodontiche, in relazione a possibile perdita della guida canina, alla
perdita di spazio con disarmonia dento-alveolare a carico degli elementi permanenti e
perdita della dimensione verticale con alterazione del profilo; complicanze funzionali,
conseguenti ad alterazioni della cinetica mandibolare, della fonetica e della deglutizione e,
infine, complicanze estetiche, legate alla perdita degli elementi dentali, soprattutto a carico
del gruppo frontale.
La terapia di questa forma di carie è spesso rappresentata dall’estrazione di molti o di tutti
gli elementi decidui, sia per la gravità delle lesioni sia per la giovane età dei soggetti colpiti,
che non consente di sottoporli ad una terapia conservativa lunga, complessa e con prognosi
dubbia.
I trattamenti endodontici sugli elementi dentali della serie decidua possono essere più o
meno complessi in base al tipo di lesione e al grado di interessamento dell’organo pulpare.
Diverse variabili influenzano la scelta del tipo di trattamento: l’età del paziente, l’eventuale
interessamento della polpa con storie di ascessi ripetuti, il grado di rizolisi, la presenza di
eventuali agenesie. I trattamenti comprendono: la pulpotomia, la pulpectomia e l’estrazione
dell’elemento.
• Prima di scegliere il tipo di trattamento, si dovrebbe prendere in considerazione la
gravità delle lesioni, l’età del bambino, il rischio di carie, il comportamento del
bambino e la collaborazione dei genitori.
• Sono altamente consigliate misure di prevenzione domiciliare e clinica.
La prevenzione domiciliare comprende:
1. controllo della trasmissione dello Streptococcus mutans tra madre e figlio evitando
ad es. la condivisione delle stesse posate;
2. non utilizzo del succhiotto edulcorato e del biberon contenente bevande
zuccherine.
Può risultare utile suggerire al genitore di continuare, almeno per un certo
periodo di tempo, l’utilizzo del biberon nelle ore notturne, se di aiuto al
sonno, ma solo se contiene acqua;
3. utilizzo di presidi di igiene orale domiciliare a far data dall’eruzione del primo
dente deciduo; prima di quest’epoca è buona norma detergere il cavo orale
del bambino con una garza inumidita dopo ogni assunzione di cibo, bevande
o farmaci edulcorati.
La prevenzione clinica comprende:
4. applicazione topica di vernici o gel al fluoro;
5. riabilitazione estetico – funzionale delle arcate dentarie (prevenzione terziaria).
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Restauro dell’elemento dentario deciduo
Il restauro di un elemento deciduo è una procedura che prevede la completa rimozione del tessuto
cariato e la sua sostituzione con un materiale biocompatibile con caratteristiche fisico-chimiche in
grado di resistere alle forze masticatorie e all’ecosistema del cavo orale (saliva, batteri, etc..).
L’obiettivo del trattamento è quello di eseguire interventi minimali al fine di garantire il massimo
rispetto del tessuto dentale sano, sì da garantire il recupero funzionale prima che estetico
dell’elemento deciduo.
Le resine composite sono universalmente utilizzate per i restauri di elementi anteriori e posteriori.
In commercio ne esistono diverse, con caratteristiche fisiche e di manipolazione adatte alle varie
indicazioni terapeutiche, anche in presenza di perdite di tessuto duro dentale conseguente a traumi
e/o a malformazioni dentali.
L’utilizzo di un materiale a base resinosa permette un approccio più conservativo nella preparazione
cavitaria, per la ritenzione micro meccanica e chimica garantite dalla mordenzatura dello smalto e
dal condizionamento dentinale.
Nonostante nei settori posteriori l’amalgama d’argento rappresenti ancora un materiale affidabile e
sicuro, è raccomandato evitarne l’uso nei bambini sotto i sei anni, nelle donne in gravidanza o in
allattamento e nei pazienti con gravi nefropatie o con allergia al materiale stesso.
Le resine composite nei settori frontali costituiscono i materiali di prima scelta; nei settori
posteriori, hanno dato prova di buoni risultati clinici a distanza.
I cementi vetroionomerici resinosi possono efficacemente essere utilizzati per i restauri di elementi
decidui o come trattamento provvisorio in pazienti con fragilità socio-sanitarie.
Allo stato attuale, non si hanno dati certi su quale materiale da riempimento sia preferibile utilizzare
nel trattamento conservativo dei denti decidui.
Nella terapia conservativa delle lesioni cariose minimamente invasive la preparazione della cavità
deve rispettare la forma della lesione, senza rimozione di tessuto dentale sano; attualmente ciò è
possibile grazie alle dimensioni minime degli strumenti rotanti, vibranti sonici e ultrasonici, oltre
alla possibilità di utilizzo di laser.
Preparazione “step by step” di una cavità cariosa:
1 – apertura cavitaria – accesso alla lesione
2 – rimozione accurata del tessuto cariato
3 – valutazione della dimensione della cavità
4 – preparazione cavitaria definitiva
5 – rifinitura dei margini.
• Prima di qualsiasi intervento terapeutico è indispensabile effettuare una corretta
diagnosi di carie, attraverso un attento esame obiettivo con specillazione e, ove
necessario, attraverso indagini radiografiche del tipo bite-wing .
• Durante le fasi di lavoro può essere opportuno, a discrezione dell’operatore, l’uso di
sistemi ottici ingrandenti.
• In considerazione dei principi di adesività dei materiali da otturazione ed al fine di
evitare la contaminazione batterica della dentina esposta, è necessario un buon
isolamento del campo operatorio.
• L’estensione del processo carioso influenza in misura direttamente proporzionale la
dimensione finale della cavità.
• Durante le fasi operative del restauro occorre preservare i tessuti mineralizzati sani
del dente, compatibilmente con le tecniche ed i materiali scelti.
• Margini cavitari lisci e senza soluzioni di continuo influenzano direttamente
l’adattamento del restauro e la sua durata nel tempo.
• L’utilizzo del manipolo turbina dovrebbe essere limitato ai passaggi iniziali di
apertura ed abbozzo cavitario; l’eliminazione della dentina rammollita deve essere
eseguita preferibilmente con strumenti manuali o con frese rotanti montate su
manipolo contrangolo a bassa/bassissima velocità.
• Per evitare lesioni al complesso pulpo-dentinale tutti i passaggi operativi devono
essere eseguiti sotto abbondante getto d’acqua.
• La forma finale della cavità e la rifinitura dei margini è consigliato che venga
effettuata con manipolo moltiplicatore a media e/o bassa velocità.
• Prima dell’esecuzione del restauro, se la profondità della cavità lo richiede, occorre
effettuare un’adeguata protezione pulpare, allo scopo di preservarne la vitalità.
• Nel caso di perdita di tessuto dentale interprossimale è necessario utilizzare matrici
sezionali o circumferenziali di adeguate dimensioni.
• Per il ripristino del tessuto dentario perso a causa del processo carioso possono essere
utilizzati vari materiali quali cementi a base vetroionomerica e materiali compositi.
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Terapia endodontica del dente deciduo
L’obiettivo della terapia endodontica è il mantenimento dell’integrità anatomo-funzionale e della
salute dell’elemento dentario e dei suoi tessuti di sostegno, per prevenire possibili alterazioni di tipo
ortognatodontico e/o infettivo. La carie e/o le sequele di un trauma dento-alveolare in dentatura
decidua possono determinare patologie ascessuali e la perdita precoce di spazio in arcata,
influenzando negativamente la permuta e la formazione del permanente corrispondente.
Una corretta diagnosi dello stato della polpa del deciduo risulta essenziale per formulare la terapia
più indicata. Le indicazioni, gli obiettivi e le alternative terapeutiche dipendono dalla vitalità o
meno della polpa, sulla base di una corretta diagnosi clinica e radiografica, che permetterà di
verificare, in particolare, il grado di compromissione pulpare, la presenza di possibili lesioni
periapicali, il grado di rizolisi e l’eventuale interessamento dei corrispettivi elementi permanenti da
parte di processi flogistici.
Lo stadio di formazione della radice del dente deciduo è dirimente per il percorso terapeutico.
Infatti, un elemento deciduo presenta, durante la sua permanenza all’interno del cavo orale, tre stadi
evolutivi:
I stadio – fase di crescita e di sviluppo: elemento erotto con radice in via di formazione;
II stadio – fase di maturazione e stabilizzazione: elemento con radice completata;
III stadio – fase di regressione: elemento con radice in fase di riassorbimento (rizolisi).
Percorso terapeutico
Deciduo al I stadio
Deciduo al II stadio
Deciduo al III stadio
1. escavazione della carie
2. no esposizione pulpare:
restauro
3. si esposizione pulpare:
pulpotomia + restauro
4. polpa non vitale:
pulpotomia / pulpectomia
parziale + restauro
5. escavazione della carie
6. no esposizione pulpare:
restauro
7. si esposizione pulpare:
• polpa radicolare vitale (no
sanguinamento):
pulpotomia + ott camerale + restauro
• polpa radicolare con flogosi (si
sanguinamento):
pulpectomia + ott canalare con
materiale riassorb + restauro
• polpa non vitale:
pulpectomia + ott canalare con cemento
riassorb + restauro
1. escavazione della carie
2. no esposizione pulpare:
restauro
3. si esposizione pulpare:
pulpotomia
polpa non vitale:
pulpotomia/pulpectomia
parziale o avulsione
4. Pulpotomia dell’elemento deciduo
La pulpotomia consiste nell’asportazione completa del tessuto pulpare camerale, in caso di
esposizione accidentale del tessuto vitale a seguito di traumi, esposizioni iatrogene o carie,
in un elemento dentario asintomatico.
L’obiettivo del trattamento è quello di preservare la polpa radicolare in modo da garantire la
fisiologica rizolisi. L’anamnesi deve escludere dolore spontaneo, sensibilità alla percussione
o alla palpazione, con risposta positiva ai test di vitalità.
La pulpotomia è controindicata in presenza di gonfiore, fistola, mobilità patologica,
riassorbimenti interni a carico delle radici, calcificazioni pulpari o eccessivo sanguinamento
dalla polpa radicolare (segno di infiammazione pulpare). L’aspetto clinico indicativo
dell’assenza di infiammazione pulpare è l’arresto del sanguinamento del tessuto ancora
presente all’interno dei canali radicolari.
Prima di eseguire una pulpotomia è indispensabile una radiografia endorale periapicale
preoperatoria, l’anestesia ed il corretto isolamento del campo operatorio.
Dopo aver eliminato tutto il tessuto cariato, si procede all’apertura della camera pulpare con
una fresa diamantata montata su manipolo turbina, sotto abbondante irrigazione, o tramite
un escavatore manuale tagliente. E’ da evitare il surriscaldamento della la polpa radicolare.
Una volta completata la rimozione di tutto il tessuto camerale con strumenti manuali e/o
rotanti a bassa/bassissima velocità, si tampona la cavità con pellets di cotone inumiditi con
soluzione fisiologica sterile e si crea una emostasi della polpa radicolare utilizzando prodotti
a base di solfato ferrico.
La ricostruzione dell’elemento dentario con materiale provvisorio è preceduta dal
posizionamento in cavità di un materiale biocompatibile tale da garantire l’integrità della
polpa radicolare senza interferire con il fisiologico processo di rizolisi.
A tale scopo, un materiale di utilizzo è l’idrossido di calcio, composto privo di tossicità
sistemica e locale, che, grazie al pH basico, è in grado di neutralizzare l’acido lattico
prodotto dagli osteoclasti, prevenendo così la dissoluzione della componente minerale della
dentina. L’idrossido di calcio può, inoltre, attivare la fosfatasi alcalina, enzima che svolge un
ruolo fondamentale nella formazione del tessuto duro dentale. I dati scientifici, tuttavia, non
hanno ancora chiarito se l’uso di tale composto nella terapia degli elementi decidui possa
portare a riassorbimenti interni. L’idrossido di calcio dovrebbe, comunque, essere applicato
su tessuto pulpare nel quale sia stata raggiunta una buona emostasi; questa evenienza,
tuttavia, è spesso difficile da ottenere durante l’intervento.
Risultati soddisfacenti sono stati ottenuti anche con il Mineral Trioxide Aggregate (MTA) .
Si tratta di un composto di silicato tricalcico, allumino tricalcico, ossido tricalcico ed ossido
silicato che inizia a solidificare nelle strutture dure in meno di tre ore favorendo la
formazione di tessuto duro e promuovendo una rapida crescita cellulare, così come visto in
vitro. Il materiale va posto direttamente sulla polpa radicolare e ricoperto con un pellett di
cotone inumidito che ne favorisce l’indurimento; si crea a questo punto un’emostasi del
tessuto pulpare. L’elemento dentario, viene quindi, ricostruito con materiale provvisorio. A
distanza di una settimana, l’otturazione provvisoria ed il pellet di cotone vanno rimossi: se il
materiale avrà assunto una consistenza dura, potrà essere effettuata la ricostruzione
definitiva.
Comparato all’idrossido di calcio, il MTA ha dimostrato una maggiore capacità nel
mantenere l’integrità del tessuto pulpare. L’analisi istologica nei tessuti pulpari animali e
umani dimostra una minore risposta infiammatoria, minore iperemia e minore necrosi
pulpari rispetto all’idrossido di calcio. Il MTA ha effetto antibatterico su qualche batterio
facoltativo ma non un effetto specifico contro i batteri anaerobi; è dotato di grande efficacia
nel ridurre la penetrazione dei microrganismi, è biocompatibile ma anche bioinduttivo.
In alternativa al MTA, è stato proposto il cemento di Portland. Dal punto di vista chimico
differisce per l’assenza di ioni bismuto e la presenza di ioni potassio; è simile per attività
antibatterica e proprietà macroscopiche ed ha il vantaggio di bassi costi. Tuttavia, i dati
scientifici sono attualmente insufficienti, sebbene molto incoraggianti, per considerare il
cemento di Portland un materiale di largo uso nella pratica clinica.
Una volta eseguita la pulpotomia dell’elemento deciduo, se all’esame obiettivo, effettuato a
distanza di una settimana, il dente non presenta segni o sintomi di infiammazione è possibile
la ricostruzione definitiva con un materiale composito o cementi vetroionomerici.
• Una corretta diagnosi dello stato della polpa del dente deciduo risulta essenziale per
definire la terapia più indicata.
• L’anamnesi deve escludere dolore spontaneo, sensibilità alla percussione o alla
palpazione, pregressi processi ascessuali. L’elemento dentario deve essere vitale.
• Prima di eseguire una pulpotomia è sempre indispensabile eseguire una radiografia
endorale periapicale preoperatoria per valutare il grado di compromissione pulpare, la
presenza di possibili lesioni periapicali, il grado di rizolisi e l’eventuale interessamento
dei corrispettivi elementi permanenti da parte di processi flogistici.
• E’ necessario eseguire anestesia locale plessica o tronculare, con o senza adrenalina, a
seconda delle condizioni di salute generale del paziente.
• Durante le procedure operative, il corretto isolamento del campo operatorio, riduce
l’inquinamento batterico e protegge i tessuti molli da possibili eventi traumatici.
• La rimozione completa del tessuto dentale cariato deve precedere l’apertura della
camera pulpare, per evitare la contaminazione batterica.
• Durante le procedure operative, atte a rimuovere la polpa camerale, è importante
l’utilizzo di abbondante irrigazione per evitare di lesionare o surriscaldare la polpa
radicolare.
• A livello degli imbocchi radicolari, l’eventuale sanguinamento deve interrompersi
spontaneamente entro un massimo di quattro minuti; quindi si può posizionare il
materiale di scelta, realizzare un restauro provvisorio ed eseguire il controllo
radiografico.
• Il restauro definitivo va eseguito dopo una settimana minimo, in assenza di segni e/o
sintomi di infiammazione pulpare.
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1. Pulpectomia del dente deciduo
Per pulpectomia si intende l’asportazione dell’intera polpa dentaria, camerale e radicolare,
negli elementi dentari con polpa non vitale o irreversibilmente infiammata, a seguito di carie
o traumi. Con tale trattamento si rimuove l’infezione e, quindi, si controlla la carica batterica
del sistema canalare.
Le indicazioni alla pulpectomia sono: necrosi, presenza di fistola, processi ascessuali, dolore
spontaneo e indotto alla percussione, mobilità non legata alla permuta.
I fattori che influenzano il trattamento endodontico di un elemento sono rappresentati
principalmente dal tipo di anatomia radicolare, dalla difficoltà di stabilire l’esatta
collocazione del forame apicale, per il rimaneggiamento durante il fisiologico processo di
rizolisi e dall’esiguo spessore del pavimento camerale. Particolare attenzione, durante la
strumentazione dei canali, deve essere posta alla contigua gemma del dente permanente.
Una radiografia endorarale periapicale permette di valutare l’eventuale presenza ed
estensione della lesione periapicale, la presenza di un tetto osseo tra deciduo e permanente
corrispondente ed il grado di rizolisi dell’elemento da trattare.
Una corretta diagnosi dovrà valutare l’eventualità di procedere all’avulsione dell’elemento,
nel caso in cui non vi siano i presupposti per eseguire un corretto trattamento endodontico.
Il trattamento prevede, dopo aver eseguito un’anestesia locale (se l’elemento è ancora
parzialmente vitale) e, previo corretto isolamento del campo operatorio, la rimozione di tutto
il tessuto cariato con la creazione di un corretto accesso alla camera pulpare.
Una volta individuati gli imbocchi radicolari, si esegue un iniziale sondaggio dei canali con
file manuali, per definire la corretta “lunghezza di lavoro”. E’ di ausilio, in questa fase, il
rilevatore apicale, facendo riferimento all’Rx endorale pre-operatoria.
Si procede, quindi, all’asportazione della polpa canalare mediante strumenti manuali o
strumenti al Ni-Ti montati su manipolo contrangolo a bassa/bassissima velocità e con
controllo del torque, secondo la tecnica desiderata, tenendosi un millimetro più corti rispetto
alle lunghezze di lavoro precedentemente rilevate; il trattamento dei canali prevede
un’abbondante irrigazione.
La detersione e sagomatura dei canali deve essere rispettosa dell’anatomia radicolare
dell’elemento dentario; va evitata la strumentazione aggressiva poiché potrebbero crearsi
danni a carico del germe del permanente o potrebbe essere compromessa la stabilità
dell’elemento dentale a causa di una eccessiva rimozione di dentina sana.
La detersione dei canali radicolari risulta determinante per la creazione di un ambiente il più
sterile possibile; questa può essere effettuata con lavaggi di acqua ossigenata alternata ad
ipoclorito di sodio (diluizione 1% ). Questo garantisce la dissoluzione di sostanze organiche
e la detersione di eventuali canali laterali, vista l’azione battericida nei confronti dei batteri
gram- e gram+. In considerazione della potenziale tossicità tissutale dell’ipoclorito di sodio,
è da evitare che questo irrigante fuoriesca dal sistema canalare; il suo utilizzo deve essere
particolarmente cauto in caso di rizolisi o riassorbimenti radicolari.
Al fine di ottenere un buon contatto dell’irrigante con tutta la superficie radicolare, è
importante che venga fatta una buona sagomatura del canale che, nel caso dei denti decidui,
non rappresenta una tappa fondamentale per una corretta otturazione tridimensionale del
sistema radicolare, a differenza, invece, di quanto si rende necessario negli elementi della
serie permanente.
Sagomati e detersi, i canali devono essere asciugati con coni di carta sterile e, quindi,
riempiti con un cemento canalare riassorbibile.
I cementi canalari più usati sono: la pasta iodoformica in associazione con idrossido di
calcio; l’ossido di zinco eugenolo, che ha una buona capacità di sigillo coronale, ma una
limitata attività antibatterica, con effetto lesivo per i permanenti corrispondenti e irritante per
i tessuti periapicali; l’idrossido di calcio, il cui meccanismo d’azione sembra essere legato
principalmente alle caratteristiche di alcalinità ed alla presenza di ioni calcio. Trova
impiego in caso di elemento dentale necrotico con ampia lesione periapicale; il suo tempo di
riassorbimento è inferiore rispetto all’ossido di zinco eugenolo.
Una volta riempito il sistema canalare, ed effettuata una otturazione con materiale
provvisorio, il paziente dovrà essere monitorato con controlli successivi, clinici e
radiografici, per verificare la guarigione avvenuta che è testimoniata dalla scomparsa di
segni e sintomi.
Solo a guarigione avvenuta si procede all’otturazione definitiva con materiale composito o
cemento vetroionomerico.
• Una corretta diagnosi è necessaria per valutare l’eventualità di procedere
all’avulsione dell’elemento, in caso non ci siano i presupposti per eseguire un corretto
trattamento endodontico.
• Una radiografia endorarale periapicale permette di valutare l’eventuale presenza ed
estensione della lesione periapicale, la presenza di un tetto osseo tra deciduo e
permanente corrispondente ed il grado di rizolisi dell’elemento deciduo da trattare.
• La strumentazione canalare deve essere eseguita, ponendo attenzione alla contigua
gemma del dente permanente. Risulta estremamente importante ottenere una buona
detersione dei canali radicolari, per la creazione di un ambiente il più sterile possibile.
• Per l’otturazione canalare è fondamentale l’uso di cementi riassorbibili, che non
danneggino il permanente.
• Per il restauro provvisorio e definitivo sono valide le raccomandazioni precedenti.
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1. Terapia della polpa nei denti permanenti giovani e con apice non completamente
formato
L’obiettivo primario della terapia della polpa è mantenere la salute del dente e dei tessuti di
sostegno quando il dente è affetto da patologia cariosa, da lesioni di origine traumatica o da
altre cause. Nel dente permanente neoerotto con radici non ancora completamente formate,
la polpa è fondamentale per l’apicogenesi. Il mantenimento a lungo termine di un dente
permanente richiede una radice con un rapporto corona/radice favorevole e pareti dentinali
di spessore sufficiente a resistere alle fisiologiche funzioni. La conservazione della polpa è,
quindi, un obiettivo primario nella terapia dei denti permanenti neoerotti, anche se un dente
senza la polpa vitale può rimanere clinicamente funzionale.
Le indicazioni, gli obiettivi e il tipo di terapia della polpa dipendono dalla vitalità della
polpa, sulla base della diagnosi clinica di: – polpa normale (in assenza di sintomi e con
risposta positiva ai test di sensibilità pulpare); – pulpite reversibile; – pulpite irreversibile
(sintomatica o asintomatica); – polpa necrotica.
La diagnosi clinica si basa su:
• anamnesi medica completa;
• anamnesi odontoiatrica passata e presente, trattamenti effettuati, sintomi attuali e chief
complaint, ponendo al bambino e ai genitori domande relative alle caratteristiche del dolore
(localizzazione, intensità, durata, spontaneo o provocato);
• esame obiettivo extraorale, con particolare riguardo alla presenza di gonfiore;
• esame obiettivo intraorale degli elementi dentali e dei tessuti molli con particolare riguardo
alla presenza di gonfiore e/o di fistole;
• esame radiografico (se di possibile esecuzione) per diagnosticare sede e profondità della
patologia cariosa, stadio di formazione radicolare, presenza di patologie periapicali di
origine endodontica;
• test clinici (palpazione, percussione, mobilità, test di sensibilità pulpare).
Denti che presentano sintomi quali anamnesi di dolore spontaneo e/o segni quali fistole,
gonfiore non di origine parodontale, aumento di mobilità non associato a trauma o
esfoliazione, radiotrasparenza apicale o nella zona della forcazione, evidenza radiografica di
riassorbimento interno/esterno, hanno una diagnosi clinica di pulpite irreversibile o di
necrosi e sono candidati al trattamento endodontico.
I denti che manifestano un dolore di breve durata attenuato da analgesici, dallo
spazzolamento, dalla rimozione dello stimolo, in assenza di segni e/o sintomi di pulpite
irreversibile, hanno una diagnosi clinica di pulpite reversibile e sono candidati alla terapia
vitale della polpa.
• Tutte le informazioni diagnostiche, la terapia e il trattamento di follow-up devono
essere documentati nella cartella del paziente.
• Il piano di trattamento deve tener conto della storia clinica del paziente, il valore
dell’elemento in relazione allo sviluppo e alla crescita dell’apparato stomatognatico, le
alternative alla terapia e la possibilità di ricostruire il dente.
• Quando il processo infettivo non può essere arrestato con le terapie indicate in questa
sezione, il supporto osseo non può essere recuperato, la struttura dei denti è inadeguata
per un restauro o il riassorbimento patologico della radice è eccessivo, deve essere
presa in considerazione l’estrazione dell’elemento dentario.
• Tutte le terapie della polpa devono essere eseguite con adeguato isolamento del campo
operatorio in modo tale da ridurre al minimo la contaminazione batterica.
• La terapia della polpa richiede una valutazione clinica e radiografica periodica del
dente trattato e delle strutture di supporto. La valutazione clinica dovrebbe essere
eseguita ogni 6 mesi. I pazienti trattati per un’infezione dentale acuta, inizialmente
potrebbero richiedere rivalutazioni cliniche più frequenti.
• La terapia della polpa dei denti permanenti neo-erotti con apice non completamente
formato dovrebbe essere rivalutata radiograficamente a 6 e a 12 mesi dopo il
trattamento, poi periodicamente, a discrezione del clinico.
• Per ogni dente sottoposto a terapia della polpa, segni clinici e/o sintomi possono
indurre l’odontoiatra a rivalutazioni più frequenti.
3.a Trattamento della polpa nei denti con diagnosi di polpa vitale o di pulpite
reversibile.
In un dente con una polpa normale, quando tutto il tessuto cariato viene rimosso, può essere
posizionato uno sottofondo protettivo nella zona profonda della preparazione per ridurre al
minimo i danni alla polpa, promuovere la guarigione del tessuto pulpare e/o minimizzare la
sensibilità post-operatoria. Il sottofondo protettivo è uno strato di materiale applicato sulla
superficie dentinale prossima alla polpa in una preparazione di cavità profonda, che ha lo
scopo di coprire i tubuli dentinali esposti ed agire come barriera protettiva tra materiale da
otturazione o cemento e la polpa. Il posizionamento di un sottile rivestimento di protezione
è a discrezione del clinico che può usare idrossido di calcio, adesivo dentinale, cemento
vetroionomerico. Il posizionamento di un sottofondo protettivo nella zona profonda della
preparazione è utilizzato per conservare la vitalità del dente, promuovere la guarigione del
tessuto pulpare e la formazione di dentina terziaria, ridurre la microinfiltrazione batterica.
Non dovrebbero verificarsi segni o sintomi clinici sfavorevoli post-terapia come dolore,
sensibilità, gonfiore.
● Terapia indiretta della polpa
La terapia indiretta della polpa è una procedura eseguita in un dente con diagnosi di pulpite
reversibile e carie profonda, che necessiterebbe di terapia endodontica se la carie fosse
completamente rimossa.
Alcuni A.A. propongono di rimuovere il tessuto cariato il più vicino possibile alla polpa,
posizionare uno strato protettivo e chiudere il dente senza rientrare, in una fase successiva,
in cavità per eliminare la dentina affetta residua. Il rischio di questo approccio è
un’esposizione accidentale della polpa o l’instaurarsi di una pulpite irreversibile.
Altri A.A. propongono una procedura in 2 fasi: rimozione della dentina a livello della
giunzione smalto-dentinale e di quella periferica, lasciando in situ la dentina cariata
sovrastante la polpa con l’obiettivo di modificare l’ambiente ai batteri cariogenici al fine di
diminuirne il numero; sigillando la carie residua dal biofilm orale, si tenta di rallentare o
arrestare lo sviluppo della carie. La seconda fase consiste nella rimozione della carie residua
e posizionamento di una otturazione definitiva. La raccomandazione più comune è che
l’intervallo tra le due fasi sia di 3-6 mesi, tempo sufficiente per la formazione di dentina
terziaria e per porre una diagnosi definitiva di vitalità pulpare. Fondamentale per entrambe le
fasi di rimozione è il posizionamento di un restauro con un buon sigillo marginale.
La decisione se utilizzare la tecnica in una fase o quella in due fasi dovrebbe essere basata
sulle condizioni del singolo paziente dal momento che i dati in possesso sull’argomento non
sono sufficienti su quale approccio sia di maggior successo a lungo termine.
• La terapia indiretta della polpa è indicata in un dente permanente giovane con una
diagnosi di polpa normale senza sintomi di pulpite o con pulpite reversibile .
• La polpa è valutata con criteri clinici e radiografici per essere considerata vitale e in
grado di resistere agli insulti della carie.
• L’otturazione provvisoria e/o definitiva deve garantire un sigillo ermetico della
dentina coinvolta dall’ambiente orale. La vitalità del dente dovrebbe essere preservata.
Non devono manifestarsi, dopo la terapia, segni e/o sintomi quali sensibilità, dolore,
gonfiore. Non devono esserci evidenze radiografiche di riassorbimento radicolare
patologico esterno o interno o altre alterazioni patologiche. I denti con radici immature
devono mostrare uno sviluppo radicolare fisiologico di apicogenesi.
● Pulpotomia parziale per esposizione dovuta a carie
La pulpotomia parziale per esposizione dovuta a carie è una procedura in cui il tessuto
pulpare infiammato sottostante l’esposizione viene rimosso per una profondità di 1 a 3 mm
(o anche più) per raggiungere la porzione di polpa sana. Il sanguinamento pulpare viene
controllato mediante agenti battericidi come ipoclorito di sodio e clorexidina prima di
posizionare idrossido di calcio o MTA. Quindi, va eseguita una otturazione in grado di
garantire un sigillo ermetico da microinfiltrazioni.
• Una pulpotomia parziale è indicata in un dente permanente neoerotto per una
esposizione pulpare causata da carie in cui l’emorragia è controllata in pochi minuti; il
dente deve essere vitale, con diagnosi di polpa normale o di pulpite reversibile.
• La polpa residua deve mantenersi vitale dopo la pulpotomia parziale. Non devono
manifestarsi dopo la terapia segni e/o sintomi quali sensibilità, dolore, gonfiore. Non
devono esserci evidenze radiografiche di riassorbimento radicolare patologico esterno
o interno, calcificazioni canalari patologiche, radiotrasparenze periapicali. I denti con
radici immature devono mostrare uno sviluppo radicolare fisiologico di apicogenesi.
● Pulpotomia parziale per esposizione di origine traumatica (pulp. secondo Cvek)
La pulpotomia parziale per esposizione della polpa di origine traumatica è una tecnica in cui
il tessuto pulpare infiammato sotto l’esposizione viene rimosso per una profondità di 1 a 3
mm (o anche più) per raggiungere la porzione di polpa sana. Il sanguinamento pulpare viene
controllato mediante agenti battericidi come ipoclorito di sodio e clorexidina prima di
posizionare idrossido di calcio o MTA.
Nei denti anteriori è consigliato MTA bianco, piuttosto che grigio, per diminuire la
possibilità di discolorazioni. I due preparati hanno dimostrato avere proprietà simili.
• La pulpotomia è indicata in un dente permanente giovane vitale, con apice
incompleto, dopo esposizione traumatica della polpa. L’emorragia deve essere
controllata dopo la rimozione della polpa infiammata. Né il tempo intercorso tra il
trauma e la terapia né le dimensioni dell’esposizione pulpare sono fattori critici se il
tessuto pulpare superficiale infiammato è amputato dalla polpa sana.
• La polpa residua deve mantenersi vitale dopo la pulpotomia parziale. Dopo la terapia
non devono manifestarsi segni e/o sintomi quali sensibilità, dolore, gonfiore. Non
devono esserci evidenze radiografiche di riassorbimento radicolare patologico esterno
o interno, calcificazioni canalari patologiche, radiotrasparenze periapicali. I denti con
radici immature devono mostrare uno sviluppo radicolare fisiologico di apicogenesi o
formazione dell’apice radicolare.
3.b Terapia della polpa non vitale
● Pulpectomia (terapia canalare convenzionale)
La pulpectomia in un dente permanente con apice formato è il trattamento canalare
convenzionale (terapia endodontica) da attuare in caso di esposizione, infezione o necrosi
pulpare con l’obiettivo di eliminare l’infezione pulpare e periradicolare. In tutti i casi,
l’intero tetto della camera viene rimosso per eliminare tutto il tessuto pulpare coronale e
garantire l’accesso ai canali. Dopo la disinfezione e sagomatura del sistema dei canali
radicolari, si realizza l’otturazione tridimensionale ed ermetica completa dei canali con un
materiale da otturazione biologicamente compatibile e non riassorbibile.
• La pulpectomia è indicata nei denti permanenti con pulpite irreversibile o con polpa
necrotica nei quali la radice ha l’apice già formato. In caso di denti con radici già
trattate endodonticamente con lesioni periradicolari irrisolte, con canali non accessibili
mediante un approccio ortogrado, con calcificazioni dello spazio endodontico, è
indicata una terapia specialistica.
• Occorre evidenziare radiograficamente un riempimento canalare corretto, in assenza
di sovraestensioni e sottoriempimenti. Non devono manifestarsi segni e/o sintomi
negativi post-trattamento (prolungata sensibilità, dolore, gonfiore); deve esservi
evidenza della risoluzione della patologia pre-trattamento in assenza di ulteriori lesioni
cliniche e/o radiografiche dei tessuti periradicolari.
● Apecificazione
L’apecificazione è una tecnica utilizzata per indurre la chiusura della parte terminale della
radice in un dente permanente non vitale, con apice non completamente formato. Prevede la
rimozione del tessuto infetto coronale e radicolare e il posizionamento di un materiale
biocompatibile come l’idrossido di calcio nei canali per 2-4 settimane, per disinfettare lo
spazio endodontico. La chiusura dell’apice radicolare è realizzata mediante una “barriera
apicale” di MTA. Nei casi in cui non si può realizzare una chiusura completa con MTA, si
può inserire una medicazione a base di collagene riassorbibile per consentire il
posizionamento di MTA entro lo spazio finale del canale. La guttaperca viene usata per
riempire lo spazio endodontico residuo. Se le pareti del canale sono sottili, lo spazio
endodontico può essere riempito con MTA o resina composita per rendere il dente più
resistente.
• L’apecificazione è una tecnica per denti permanenti non vitali con radici non
completamente formate.
• Dopo l’apecificazione non devono manifestarsi segni e/o sintomi negativi (prolungata
sensibilità, dolore, gonfiore). Non devono esserci segni radiografici di riassorbimento
radicolare esterno, di frattura radicolare, di patologie periradicolari durante o dopo
la terapia. Il dente deve continuare ad erompere e l’alveolo a crescere.
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Chirurgia orale pediatrica
Nei pazienti in età evolutiva, prima di procedere ad interventi di chirurgia odontostomatologica, è
necessaria la raccolta di un’attenta anamnesi, integrata, ove opportuno, da consulenze specialistiche
nell’ipotesi di sospetto di eventualità di situazioni di emergenze intraoperatorie e/o postoperatorie.
E’ necessaria un’approfondita valutazione del quadro obiettivo integrato da un’analisi radiografica;
le radiografie possono includere Rx endorali, Rx ortopantomografia, tomografia assiale
compiuterizzata (TAC).
Particolare attenzione, inoltre, deve essere posta alla valutazione del comportamento del giovane
paziente. Infatti, l’atteggiamento del soggetto in età evolutiva può subire importanti modificazioni
dal periodo preoperatorio a quello intraoperatorio sì che alcuni soggetti, per il controllo del dolore e
dell’ansia, necessitano di ulteriori accorgimenti oltre l’anestesia locale.
La valutazione del paziente comporta anche la verifica di eventuali traumi e/o interventi chirurgici
nella regione orale e mascellare già subiti, poiché, nella popolazione pediatrica, questi possono
produrre potenziali effetti avversi sulla crescita, incrementando in modo marcato rischi e
complicanze. Infatti, lesioni traumatiche a livello della regione maxillo-facciale possono influire
negativamente sulla crescita e sulle funzioni. Per esempio, i traumi localizzati alla regione del
condilo mandibolare possono non solo portare ad una riduzione della crescita ma anche limitare la
funzione mandibolare, come risultato dell’anchilosi. Anche la chirurgia necessaria per la correzione
di malformazioni congenite o acquisite può influenzare negativamente la crescita. Ad esempio,
nelle palatoschisi le cicatrici palatali sviluppate dalla riparazione primaria del palato, possono
causare una anomala crescita mascellare.
In debita considerazione, inoltre, va tenuto il fatto che la chirurgia mascellare e mandibolare in
pazienti in dentizione decidua e mista è complicata dalla presenza delle gemme dentali.
Modificazioni delle tecniche standard possono essere necessarie per evitare traumi alle gemme. Per
esempio, la distrazione ossea può essere un trattamento di successo per correggere anomalie
craniofacciali in pazienti pediatrici. Tuttavia questa tecnica può essere associata a complicanze a
lungo termine (danni dello sviluppo dentale, formazione di cisti dentigere secondarie al
posizionamento di pin nello spazio adiacente a germi dentali), responsabili di malocclusioni. Per
minimizzare gli effetti della chirurgia nel corso dello sviluppo della dentizione sono necessarie
radiografie ed in alcuni casi la tomografia assiale computerizzata.
Una volta completata l’anamnesi e definito il percorso terapeutico più appropriato alla patologia da
trattare, effettuate le opportune valutazioni come sopra specificato, l’odontoiatra, in presenza di
paziente minorenne, deve ottenere il consenso informato dei genitori /tutori.
La gestione del periodo post-operatorio in età evolutiva è spesso più complessa che in età adulta.
Particolari considerazioni devono essere date all’apporto calorico e alla gestione di fluidi ed
elettroliti. I pazienti pediatrici che devono essere sottoposti ad interventi di chirurgia orale e/o
maxillo-facciale di particolare complessità devono essere indirizzati verso strutture sanitarie dotate
di personale competente nella gestione dei pazienti in età evolutiva.
• E’ importante il tempestivo trattamento dell’infezione odontogena causata da
patologia cariosa, da patologia parodontale, da traumi. A causa del dolore e del
malessere, il bambino, se non si alimenta, va facilmente incontro a disidratazione. Le
infezioni dell’area superiore del viso frequentemente provocano dolore facciale, febbre e
difficoltà a bere e mangiare. Deve essere fatta diagnosi differenziale con la sinusite in
quanto i sintomi e segni di questa patologia possono imitare un’infezione odontogena. In
alcuni casi, nelle infezioni dell’area superiore del viso si hanno difficoltà nell’individuare la
causa. Le infezioni dell’area inferiore del viso frequentemente provocano dolore, gonfiore e
trisma. Possono essere associate a denti, cute, linfonodi, ghiandole salivari. In caso di
gonfiore nell’area inferiore del viso, spesso la diagnosi è di infezione di origine dentale.
Molte infezioni odontogene non sono gravi e possono essere facilmente gestite a livello
ambulatoriale. I trattamenti includono: terapia endodontica o estrazione del dente, incisione
e drenaggio. Le infezioni odontogene associate a manifestazioni sistemiche (febbre elevata,
difficoltà respiratorie e/o di deglutizione, nausea, astenia) devono essere trattate
tempestivamente con terapia antibiotica. In rari casi è possibile l’insorgenza di
complicazioni (es. trombosi del seno cavernoso, angina di Ludwig), la cui gestione necessita
il regime di ricovero.
• L’estrazione dei denti anteriori (incisivi centrali, laterali e canini) mascellari e
mandibolari decidui e permanenti, erotti, tutti con un’unica radice conica, va eseguita
con movimenti rotazionali. Bisogna fare attenzione a non applicare forze sui denti
adiacenti che, per la loro anatomia radicolare, potrebbero facilmente lussarsi o dislocarsi.
• L’estrazione dei molari decidui, che hanno radici più piccole di diametro e più
divergenti dei molari permanenti, va eseguita applicando forze vestibolari e
palatali/linguali, lente e continue. Ciò permette l’espansione dell’osso alveolare e la
creazione di uno spazio alle radici divergenti, riducendo il loro rischio di frattura. Quando
viene estratto un molare mandibolare, è opportuno supportare la mandibola per proteggere
l’articolazione temporomandibolare da traumi. Per evitare estrazioni o dislocazioni del
permanente sottostante deve essere valutata radiograficamente la relazione tra radici del
deciduo e corona del permanente. Può essere indicato sezionare le radici dei molari decidui
che circondano la corona dei molari permanenti per evitare danni al germe del permanente.
• In caso di frattura di radice di un dente deciduo, questa va fatta quando si prevede
che l’estrazione sia di facile esecuzione. Se, invece, la radice è molto piccola, localizzata
in profondità o in prossimità del permanente o non visibile dopo diversi tentativi, è
consigliabile lasciarla in situ visto che andrà incontro a riassorbimento.
• La diagnosi precoce di canino in posizione ectopica è importante per minimizzare il
problema dell’inclusione. I canini mascellari sono al secondo posto, dopo i terzi molari,
per frequenza d’inclusione. Radiografie periapicali e Rx ortopantomografia sono necessarie
per localizzare la potenziale posizione ectopica del canino incluso. Quando la cuspide in un
canino permanente è mesiale o sovrapposta alla metà distale dell’asse lungo della radice
dell’incisivo laterale permanente, è frequente l’inclusione palatale del canino. L’estrazione
del canino deciduo è il trattamento di elezione quando è presente una malformazione o
anchilosi, nel tentativo di correggere l’inclusione palatina del canino permanente
provvedendo a creare spazio ed evitando il riassorbimento dell’incisivo. Uno studio
evidenzia che nel 78% dei casi l’eruzione di canini permanenti in posizione ectopica si
normalizza dopo 12 mesi dall’estrazione del deciduo corrispondente, più precisamente nel
64% dei casi quando la posizione iniziale del canino è sovrapposta all’incisivo laterale per
più di metà radice e nel 91% quando la posizione iniziale del canino è sovrapposta
all’incisivo laterale per meno della metà della radice. Nei casi in cui dopo un anno non si ha
un miglioramento nella posizione del canino, è consigliato il trattamento ortodontico e/o
chirurgico. Il consulto con un ortodontista è utile nella decisione finale di trattamento.
• Nel caso dei terzi molari, l’ortopantomografia o le radiografie periapicali sono
necessarie, nella tarda adolescenza, per valutare la presenza, la posizione e lo sviluppo
di questi denti. La decisione di estrazione o non estrazione dei terzi molari deve essere
presa entro la metà della terza decade di età, quando è più alta la probabilità di
malattia o patologia. In caso di estrazione, ove ritenuta necessaria dal clinico, è da
considerare che i rischi associati ad una rimozione precoce sono minori dei rischi di una
rimozione tardiva, anche a causa del diverso grado di maturità radicolare. I fattori che
aumentano i rischi di complicazioni (coesistenza di patologie sistemiche, localizzazione dei
fasci nervosi, storia di malattie dell’articolazione temporomandibolare) debbono essere tutti
attentamente valutati. Il rinvio per maggiori consulti può essere indicato. Comunque, una
review della letteratura (1984-1999) conclude che non esiste evidenza a favore della
rimozione preventiva dei terzi molari inclusi sani. Quando viene presa la decisione di non
estrarre un terzo molare incluso, esente da patologia, bisogna monitorare nel tempo gli
eventuali cambiamenti di posizione e/o lo sviluppo di patologie.
• Particolare attenzione deve essere posta alla presenza, posizione e sviluppo di questi
denti soprannumerari. La presenza di denti soprannumerari (iperdonzia) sembra essere
correlata ad alterazioni della lamina dentale. Alcuni casi di soprannumerari possono essere
associati a quadri sindromici (es. displasia cleidocranica) o a familiarità; in molti casi i
soprannumerari compaiono come evento isolato. I denti soprannumerari possono essere
presenti sia nella dentatura decidua che permanente. Nel 33% dei casi, un dente
soprannumerario della dentatura decidua è seguito da un dente soprannumerario
corrispondente nella permanente. La frequenza di denti soprannumerari è superiore al 3%,
con dentatura permanente colpita 5 volte di più della decidua e con maschi colpiti con
frequenza doppia rispetto alle femmine. Circa il 90% dei denti soprannumerari è nell’arcata
mascellare, più spesso nel settore anteriore lungo la linea mediana; in questo caso il dente
soprannumerario prende il nome di mesiodens. La presenza di un mesiodens deve essere
sospettata in caso di eruzione asimmetrica o mancata eruzione degli incisivi superiori con o
senza mantenimento dei rispettivi decidui o in caso di eruzione ectopica di un incisivo
superiore. La diagnosi di mesiodens viene confermata da radiografie (occlusali, periapicali,
ortopantomografia). Per determinare la localizzazione del mesiodens o di un dente incluso
sono necessarie informazioni tridimensionali che possono essere anche ottenute con due
radiografie periapicali effettuate con due proiezioni prese ad angolo retto l’una all’altra o con
a tecnica di spostamento del tubo (tecnica di Clark).
Le complicanze determinate da denti soprannumerari includono ritardata e/o mancata
eruzione di denti permanenti, affollamento, riassorbimento di denti adiacenti, formazione di
cisti dentigere, ossificazione dello spazio pericoronale e riassorbimento della corona. Una
diagnosi precoce ed un piano di trattamento tempestivo sono importanti per la prevenzione
di tali complicanze. Il 25% dei mesiodens erompono spontaneamente ed è solitamente
necessaria l’estrazione. Un mesiodens di forma conica e non inverito ha maggiori possibilità
di eruzione di un mesiodens di forma tubercolare e invertito. Il trattamento per un mesiodens
permanente non erotto consiste nel minimizzare i problemi di eruzione per gli incisivi
permanenti. La gestione chirurgica è influenzata da dimensione, forma e numero dei denti
soprannumerari e dallo stadio della dentizione nel paziente. Il trattamento per un mesiodens
deciduo non erotto differisce dal trattamento di un permanente, la rimozione del dente non è
consigliata in quanto la gestione chirurgica potrebbe danneggiare lo sviluppo del germe
sottostante. Un mesiodens deciduo erotto viene lasciato in loco attendendo l’eruzione dei
denti permanenti. L’estrazione di un mesiodens deciduo o permanente non erotto è
consigliata in dentizione mista per permettere la normale eruzione degli incisivi permanenti
nel cavo orale. Attendere che gli incisivi adiacenti abbiano sviluppato almeno i due terzi
della radice comporta minori rischi per i denti in via di sviluppo e permette ancora
un’eruzione spontanea degli incisivi. Nel 75% dei casi l’estrazione dei mesiodens in
dentizione mista consente la spontanea eruzione e l’allineamento dei denti adiacenti. Se i
denti adiacenti non erompono durante i 6-12 mesi successivi, è necessaria l’esposizione
chirurgica e il trattamento ortodontico.
In caso di diagnosi difficili e complesse è importante formulare un piano di trattamento dopo
un consulto odontoiatrico multidisciplinare.
• Nei pazienti pediatrici non sono necessarie terapie in caso di insorgenza di lesioni
quali le perle di Epstein, le cisti della lamina dentale, i noduli di Bohn. Tali lesioni,
infatti, scompaiono durante i primi tre mesi di vita.
• In caso di epulidi congenite il trattamento di elezione consiste nell’escissione
chirurgica; la guarigione, di norma, avviene in assenza di complicanze.
• La presenza di cisti eruttive (costituite da tessuto molle, che risulta dalla separazione del
follicolo dentale dalla corona di un dente in eruzione, tipica della regione dei molari
mandibolari), prevede trattamenti diversi in relazione alla quantità di sangue presente
nel fluido cistico. La presenza di sangue è secondaria al trauma. Se il trauma è intenso, la
lesione si riempie di sangue e prende il nome di ematoma eruttivo. I denti erompono
attraverso la lesione: non è necessario, quindi, nessun trattamento. Se la cisti non si rompe
spontaneamente o se la lesione diventa infetta, il tetto della cisti deve essere aperto
chirurgicamente.
• In presenza di mucocele (deriva dalla rottura del dotto escretore di una ghiandola salivare
minore e conseguente versamento di mucina nei tessuti connettivi circostanti, che
successivamente può essere circondato da una capsula fibrosa) questo va monitorato
poiché spesso regredisce spontaneamente lasciando tracce di ulcere che guariscono in
pochi giorni. Alcune lesioni, tuttavia, possono richiedere l’escissione chirurgica con
rimozione delle ghiandole salivari minori più prossime alla lesione stessa per
minimizzare il rischio di recidiva.
• In caso di frenulo mascellare alto o prominente (associato o meno a diastema
interincisivo) il trattamento è necessario solo quando l’attacco esercita una forza
traumatica sulla gengiva o causa un diastema che permane dopo l’eruzione dei canini
permanenti. Il trattamento deve essere sempre rimandato fino a quando gli incisivi
permanenti sono completamente erotti e il diastema ha avuto l’opportunità di chiudersi
naturalmente. In età superiore, se, in presenza di frenulo, la papilla diventa ischemica
quando il labbro superiore viene teso, può esserne indicata la rimozione. La frenulectomia
dovrebbe essere eseguita solo quando il diastema è stato chiuso il più possibile con il
completamento del trattamento ortodontico. Quando è indicata, la frenulectomia mascellare
è una procedura abbastanza semplice e può essere realizzata ambulatoriamente.
• In caso di un frenulo alto nella superficie labiale della cresta mandibolare, nell’area
tra gli incisivi centrali inferiori, frequentemente negli individui con vestibolo poco
profondo, è indicato un trattamento precoce per prevenire conseguenze quali
infiammazione, recessione, formazione di tasche e perdita di osso alveolare.
• In caso di un frenulo linguale corto che spesso comporta limitati movimenti della
lingua (anchiloglossia, totale o parziale), la frenulectomia deve essere considerata
individualmente per ogni paziente. Il trattamento chirurgico va preso in
considerazione solo se la funzione migliora. L’anchiloglossia può causare problemi
all’allattamento al seno, al linguaggio, ad una corretta occlusione, allo stato di salute
parodontale. Durante l’allattamento al seno, un frenulo corto può causare un inadeguato
trasferimento del latte al cavo orale del bambino con effetto negativo sull’alimentazione e
dolore al capezzolo della madre. La frenuloplastica, quando indicata, sembra avere successo
nel facilitare la suzione. Inoltre, a volte, patologie del linguaggio possono essere associate ad
anchiloglossia e, pertanto, la frenulectomia può essere la giusta opzione di trattamento per
ottenere un miglioramento della mobilità della lingua. Tuttavia non dovrebbe essere
eseguita in assenza di una completa valutazione da parte di un logopedista qualificato.
L’anchiloglossia è stata anche associata a malocclusione di terza classe. L’anomala
posizione della lingua sembra avere effetti sullo sviluppo scheletrico, sebbene in assenza di
chiare evidenze scientifiche.
• E’ indicato un frequente monitoraggio in caso di denti natali (denti presenti alla
nascita) e neonatali (quelli che erompono durante i primi 30 giorni di vita). Se non
eccessivamente mobili e tali da causare problemi di ingestione, si dovrebbe cercare di avere
un atteggiamento conservativo finché è possibile.
In presenza di patologia di Riga-Fede (condizione causata da denti natali o neonatali che
sfregando sulla superficie ventrale della lingua ne causano ulcerazione) la diagnosi sbagliata
e/o un non appropriato trattamento delle lesioni può provocare disidratazione e un
inadeguato nutrimento per il bambino. Il trattamento dovrebbe essere conservativo, se
possibile, e consiste nel lucidare i bordi incisali ruvidi o posizionare resina sui bordi del
dente taglienti. Se il trattamento conservativo non corregge la condizione, l’estrazione è il
trattamento d’elezione. Particolare attenzione deve essere posta, durante l’estrazione di un
dente natale o neonatale, al possibile rischio di emorragia.
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Fonte:
RACCOMANDAZIONI CLINICHE IN ODONTOSTOMATOLOGIA
Ministero della Salute (GENNAIO 2014) Dipartimento della sanità pubblica e dell’innovazione
Pagg. 5-38

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